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Alla base ci sono ingredienti semplici.
Il termine “jota” ha origini controverse.
Jota “sbrodolona” o addensata”.
Le ricette riportano ingredienti e modalità le più varie.
Un’idea per una Jota “SCOMPOSTA”.
Cesare Fonda studioso di cose triestine.
I “Capuzi garbi” erano di casa a Trieste già nel Cinquecento.
Alla base ci sono ingredienti semplici e soprattutto locali. Fagioli, patate (introdotte dopo la scoperta dell’America 1492), capuzi garbi cioè cavolo cappuccio a listarelle lasciato a fermentare in salamoia. Una lavorazione che i triestini si vantano di aver elaborato sin dai tempi di Carlo Magno. Ma non confonderli assolutamente con i crauti di origine e cultura tedesca e austriaca ma non triestina.
Il termine “jota” ha origini controverse. Probabilmente la più nota espressione della cucina tipica triestina. La radice sembra derivare da un suffisso celtico poi contratto dal tardo latino jutta, che significa miscuglio o minestra. Oppure dal termine cimbro (un idioma di origine germanica, diffuso in veneto e trentino) yot. C’è da dire però che in Cecoslovacchia con il termine jucba s’intende una minestra di cavoli.
La Jota si può trovare in varie ed innumerevoli versioni: più bianca sbrodolona. La si cucina non con fagioli scuri ma semplicemente i borlotti pochi e interi e poche patate. Ricca di “capuzzi” non addensata con il “disfrito” ( preparazione a base di olio extra vergine e farina. Un sorta di roux che viene cotto alcuni minuti fino a farlo leggermente scurire e che serve a legare e a inspessire, addensare la minestra ).
Le ricette riportano ingredienti e modalità le più varie: cipolle, olio al posto dello strutto. Per il profumo e sapore di affumicato, molto gradito ai triestini: salsicce di cragno dal nome originario: “Kranjska klobasa” (salsiccia) . È un prodotto originariamente sloveno dalla regione della Carniola più precisamente probabilmente da Kranj vicino a Lubjana. È un insaccato fresco, affumicato con legna di faggio, divenuto tradizionale anche nel triestino, da consumare cotto.
Si racconta che quando i capuzzi non erano sufficientemente acidi veniva aggiunto del “Terrano” vino rosso spiccatamente acido. Il “vecchio” Terrano era ricavato da uve di Refosco la cui vendemmia, senza troppe attenzioni, produceva un vino densamente colorato e con una spiccata acidità. Oggi per merito o a causa della cura nella vendemmia e produzione del vino è praticamente introvabile con queste qualità. Le varianti degli ingredienti dipendono dalle tradizioni di famiglia dai tempi.
Tratto da un articolo di: Discover Trieste.
JOTA SCOMPOSTA (destrutturata )
Tre spessori in bicchiere che non si devono mischiare, composti da:
Come scrisse Cesare Fonda, grande studioso ed esperto di cose triestine, la jota è paragonabile a un prezioso documento storico. Racconta la storia, la politica, l’economia, il clima della città e l’estro dei triestini. La jota parla di freddo e di inverno, con tutti i fagioli e tutto il maiale che ha dentro e che urla ad alta voce “Mitteleuropa”. Con i suoi capuzi garbi introvabili nelle altre zuppe sue cugine. Così, gustare un piatto tipico, il Piatto Tipico triestino per eccellenza (con le maiuscole, certo!) è avere davanti agli occhi e vivere con tutti i sensi un autentico concentrato della città. Delle tante anime che la rendono ricca di memorie e di fascino.
A proposito di date, i capuzi garbi erano di casa a Trieste già nel Cinquecento e verso la fine del secolo o al più tardi ai primi del Seicento arrivarono da queste parti i fagioli rossi americani. Così possiamo datare a quel periodo la nascita dell’adorata jota!
Personalmente metterei il punto di domanda alla fine del paragrafo precedente.
Alla base ci sono ingredienti semplici.
Il termine “jota” ha origini controverse.
Jota “sbrodolona” o addensata”.
Le ricette riportano ingredienti e modalità le più varie.
Un’idea per una Jota “SCOMPOSTA”.
Cesare Fonda studioso di cose triestine.
I “Capuzi garbi” erano di casa a Trieste già nel Cinquecento.
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