Panino al buffet da “Pepi”. Una ricetta.



Orecchia di maiale affumicata cotta lessata.

Pancetta affettata.

Kren.

Senape.

Pane di segale triestino.

SI ACCOMPAGNA CON: acqua minerale con le bolle o è consentita una birretta (rigorosamente alla spina).


Il panino in un buffet è quasi d’obbligo perché il buffet triestino è il fast food dell’ottocento. Ti regalo questa ricetta che ti farà sentire molto triestino. Tieni presente dei perchè di questi ingredienti. Nel panino gourmet da Pepi l’orecchia non ha molto sapore se non l’affumicato ma importante è la consistenza quasi croccante, succulenta se di cottura perfetta e qui lo è. La pancetta crea il sapore della carne stagionata del maiale e il suo grasso la morbidezza. Il kren mette ciò che di punta deve esserci per creare un effetto scoppiettante e la senape con la sua dolce acidità diluisce e arrotonda la parte viscosa. Il pane di segale nostrano, in ogni panetteria triestina diverso, profuma leggermente di finochietto selvatico, lasciando un giusto retrogusto impregnato di anice.

Acqua minerale perché nulla venga tolto a questo breve ma intenso piacere.


Buffet da Pepi maiale in caldaia
Buffet da Pepi tutto il maiale in caldaia per un panino perfetto.


Da quando vengo a Trieste, mi sono convinto che “Pepi” abbia brevettato un fissativo atmosferico, una sorta di nube aerosol, impermeabile alle raffiche di Bora. Un marketing fragrante che stabilizza, in un perimetro ben definito, l’aroma inconfondibile del bollito mischiato al profumo dei crauti e dell’affumicato. Attraverso i recettori olfattivi, stimola il cervello a costringere il passante a percorrere l’itinerario che conduce inevitabilmente ad entrare e ad ordinare per far pace fra ghiandole salivarie, stimoli della fame e memorie gustative. 


Del maiale non si butta via niente. Qui da “Pepi” è proprio vero.

Nei pentoloni che sobbollono, oltre ai pezzi classici per i Buffet di Trieste di “porcina”, di lingua, kaiserfleisch, salsicce di “cragno” e alle “vienna” c’è anche gran parte del resto del prašič, del maiale. Solo la lingua è di vitello.


Da “foresto” (quelli che vengono da fuori città) così ci chiamano i triestini, ero concentrato nel difendermi dalla vampata di odore-sapore del kren.

Avevo fatto per l’ennesima volta l’errore di respirare dal naso dopo aver addentato il mio panino di porcina (per amor del cielo non ordinate porcina magra!) con il rafano che qui ti guardano storto a chiamarlo così. Mario aveva grattugiato sulla porcina come da rituale, per tre volte la quantità calibrata al modo triestino della radice candida ma dal gusto piccante e “bombardino”. Quando il sapore si manifesta anche attraverso il naso ormai è tardi.


Il segnale percepito dai recettori non fa a tempo ad arrivare al cervello che le lacrime riempiono gli occhi e sapore-odore libera le vie respiratorie e la memoria incasella il momento e incredibilmente ne crea dipendenza per sempre.

Mentre cerco di ritrovare la giusta modalità respiratoria per il secondo boccone, intercetto lo sguardo di Mario che collima con quello di un avventore appena entrato.


Subito il filone di “pan de segala” viene affettato con fette oblique di 1-1,5 cm; intanto sorge da una caldaia, dopo essere stata infilzata dal forchettone in una profonda immersione subacquea, una orecchia, meglio un gran pezzo di orecchia di maiale. Vedo bene é proprio UN’ORECCHIA DI MAIALE. Evidentemente affumicata, forchettone e coltello ne tagliano 3 pezzi dalla parte sottile. Pezzi giusti da sistemare sulla fetta di pane, poi segue sempre infilzato dal forchettone un pezzo di pancetta, anche questa leggermente affumicata. Due pezzi bicolore sistemati traboccanti instabili ma ancora nel perimetro di contenimento della leggera crosta ambrata del pane che solo in questa città si fa così. Mi domando quante ed ancora quali strane squisite sconosciute parti del maiale siano lì sotto a sobbollire.


Poi penso che per uscire da questo circuito chiuso del mio innocuo borghese panino di porcina prima o poi dovrò decidermi di affrontare l’avventura della loro scoperta farle riemergere ad una ad una, conoscerle, degustarle e solo dopo sceglierle. Sarà un modo di fare mio finalmente un pezzo di questa città ritirata, ruvida, cristallina e bella. 

Vengo spesso a Trieste e ormai quando mi vedono mi servono il “solito” panino con porcina e kren.

Il panino gourmet che ho visto costruire da Pepi invece viene finito con senape e un’abbondante porzione di addirittura 4 grattugiate di kren.


Per l’uomo distinto, artista? Architetto? Giacca ocra, camicia bianca, circa 60 anni, longilineo, barbetta e ciuffo di capelli ritti candidi è stato ricavato un posto proprio difronte a me davanti alle caldaie, lungo la strettoia che i camerieri tengono libera ma evidentemente per lui “si può”. 

Gli servono un bicchiere di minerale. Quando sarà il mio turno lo copierò in tutto, magari non la giacca ocra. Vedo che respira con la bocca, un professionista del kren. Lo osservo forse anche troppo interessato e lui non si distrae. Come il commissario Montalbano fa con le prelibatezze della Trattoria San Calogero lo sconosciuto si gode concentrato in beata solitudine il panino gourmet esclusivo di “Pepi s’ciavo”. Poco dopo la mia insaziabile voglia di conoscere mi porterà ad incontrare questo triestino ( ci sono ancora ) per chiedergli come era nata questa preziosa ricetta. Mi spiegherà essere molto unica e speciale ma non era una sua invenzione. Questa combinazione di ingredienti con poche modifiche, come insegna l’Artusi, l’aveva conosciuta per imitazione, molti anni prima, come per me ora, attraverso la comunicazione verbale, il passaparola.



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