La cucina triestina.

Raccontare della cucina triestina è raccontare di un confine tracciato più volte, di terra dura e di mare, di lingue diverse, di chiese e riti che spostano il calendario delle festività. Di questo ti parlerò.


Raccontare della cucina triestina è raccontare di Trieste. Qui si incontrano e amalgamano i popoli  dei balcani quelli della tradizione e lingua germanica di quella italiana. La cultura ebraica raccoglie e diffonde il plurilinguismo il sapere sopra confini tracciati.
I monumenti della città di Trieste. Santa Maria maggiore, la Sinagoga, la chiesa Serbo Ortodossa e quella Greco Ortodossa, sant’Antonio, San Giusto… Disegno di Maurizio Stagni.

Non è una città assimilabile a nessun’altra esperienza. 


A ovest, dopo Monfalcone e fino ad Ancona il litorale verticale scende lungo le spiagge sabbiose e la laguna e dietro la padania straniera. A nord l’altipiano carsico: calcareo, roccioso, goloso d’acqua che rapidamente scompare e prima lo spacca e lo consuma. Ad est, terra slovena prima della Slovenija con la “marna” che scende in mare disegnando un paesaggio morbido rigato di vigne e uliveti che poco dopo diventerà terra rossa eticamente coltivata in altre due lingue. A sud il golfo salato come un piccolo mare chiuso, illuminato dalle lampare nelle notti estive per la pesca del tanto pesce azzurro e tanto altro dal gusto concentrato.


Lo stesso golfo che diventa irriconoscibile, bianco e violento spazzato dalla Bora che precipita “catabatica” giù da 500 metri lungo il costone carsico e apre la sua ventata in una raggiera di raffiche che si distendono sull’acqua come le dita di una mano.

Raffiche di Bora, poca acqua, sole caldo, collina, l’altipiano calcareo e poi l’argilla… un micro cosmo che produce straordinari vini Vitovska, Glera, Terrano, Refosco… profondamente diversi, rari e preziosi tanto diversi da quelli di pianura.

Raccontare della cucina triestina è raccontare di mare, di Bora, di terra rossa e di calcare...
Disegno di Maurizio Stagni. La bora a Trieste è più di un vento, è una persona.

Una piccolissima provincia che quasi coincide con il territorio occupato dalla città stessa ma che in realtà orgogliosamente tiene in mano da sempre il testimone e la memoria di tradizioni, usi e ricette.

Trieste normalmente e civilmente multietnica, porto commerciale, imbuto di popoli che vivevano assieme e che ormai manipolati da due guerre e tante violenze convivono però nelle “Osmize” dove il “Morer”: il “Gelso” cresce addomesticato lungo i fili d’acciaio tesi sopra i tavoli di marmo. Posti dove si serve la pancetta cotta con il finocchietto, il succo di Sambuco diluito in acqua, gli gnocchi di susine che puoi mangiare come una prima portata o come dolce, il formaggio Jamar stagionato in grotta e servito con un po’ di miele…


A Trieste le lingue si fondevano in una: il dialetto triestino. Allo stesso modo il mondo balcanico e il mondo mediterraneo si incontravano a tavola trovando nel modo: “alla triestina” la soluzione in un contrasto armonico che solo qui trova la vera sintonia. 


Le ferrovie erano quelle che diffondevano e miscelavano rapidamente le culture della Mitteleuropa. L’Oriente Express e quella che portava i passeggeri da Berlino a Baghdad, impensabili oggi.

I traffici, la ferrovia, le navi, le rotte lontane Africa, India, Pakistan, Australia, Estremo oriente… e il Lloyd Triestino di navigazione fra le più antiche compagnie di navigazione del mondo erano le componenti per trasformare, arricchire le portate all’ “uso Lloyd”. Gli stessi chef di bordo erano quelli che sbarcati a terra aprivano ristoranti e pasticcerie di riferimento.


Raccontare della cucina triestina è raccontare dei “Buffet” che erano l’anteprima dello slowfood solo tagli poveri del maiale cotti lessati. Erano a alcuni lo sono ancora luoghi da “rebechin” si direbbe cicchetto altrove o merenda detto dai foresti. Nella caldaia fumante pezzi di “porcina” porzina in triestin, di lingua salmistrata, zampetti e orecchie di maiale affumicate, costine e ombolo kaiserfleisch nella lingua originale e anche pancetta e salsicce di “cragno” e ai Würstel che qui chiamati così sembra sia una bestemmia il loro nome è luganiga de Vienna conditi con la senape e il Kren la radice di rafano onnipresente.


La “cena a Trieste” si conclude come ogni vera cena con i dolci. Sono questi che raccontano della cucina triestina meglio di qualunque altra preparazione. Raccontano della straordinaria storia della cucina di una terra plurale e di confine. Pinze, Titole, Strudel che diventa rapidamente “strucolo de pomi”e la Linzertorten, i Krapfen (kraffen, crapfen… crafen ), il Kugluf, la Dobos, il Rigojanci dalla storia romantica che emigranti ebrei da Budapest porteranno Trieste. La Ghibanica ( leggi ghibaniza ) in versione croata diversa da quella serba di origine slovena della regione del Prekmurje un piccolo fazzoletto di terra fra Ungheria, Austria e Croazia.


Il cibo a Trieste e questo e tanto altro.